ESTORSIONE Costringimento a fare od omettere qualche cosa
Cassazione penale , sez. II, 05 giugno 2008, n. 28682
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COSENTINO Giuseppe Mar - Presidente -
Dott. CARMENINI Secondo Libe - Consigliere -
Dott. FIANDANESE Franco - Consigliere -
Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere -
Dott. AMBROSIO Annamaria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) B.C. N. IL (OMISSIS);
avverso ORDINANZA del 12/12/2007 TRIB. LIBERTA' di PALERMO;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. AMBROSIO ANNAMARIA;
sentite le richieste del Procuratore Generale in persona del Dott.
MELONI Vittorio, che ha concluso per il rigetto;
udito il difensore avv. Santin Ettore, in qualità di sostituto
processuale dell'avv. Marciante Filippo, che ha concluso per
l'accoglimento del ricorso.
Fatto-Diritto
1.1. Con ordinanza in data 12-12-2007, il Tribunale di Palermo, in sede di riesame, confermava l'ordinanza del G.I.P. in data 27-11-2007 applicativa nei confronti di B.C. della misura coercitiva del divieto di dimora nel territorio del Comune di Sciacca con l'espresso divieto di accedervi senza autorizzazione del Giudice procedente, in relazione al reato di estorsione aggravata e continuata (artt. 81 cpv. e 110 c.p., e art. 629 c.p., commi 1 e 2, perchè in concorso con S.P. - e precisamente lo S., quale amministratore unico e socio della Essetre s.r.l.
e la B., quale socia della medesima Essetre s.r.l., nonchè coniuge dello S. - con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante minaccia consistita nel paventare loro il licenziamento ove non avessero acconsentito a ricevere una retribuzione mensile inferiore a quella risultante "al netto" nella busta-paga, costringendo i lavoratori della Essetre s.r.l. indicati nel capo di imputazione ad attestare falsamente di avere ricevuto per intero la retribuzione mensile indicata in busta-paga - procuravano a sè e ad altri l'ingiusto profitto con altrui danno, corrispondente al mancato esborso economico della differenza tra quanto indicato in busta-paga e quanto effettivamente corrisposto ai dipendenti e allo svolgimento di un'attività lavorativa retribuita in misura inferiore a quanto previsto dai contratti; con l'aggravante di cui all'art. 629 c.p., comma 1 in relazione all'art. 628 c.p., comma 3, n. 1, essendo stata posta in essere la minaccia da più persone riunite).
In motivazione il Tribunale - richiamati i principi in materia di gravità indiziaria e in ordine alla valutazione delle dichiarazioni delle persone offese del reato e dei contenuti delle intercettazioni telefoniche - preliminarmente rigettava le eccezioni formulate dalla difesa con riguardo alla legittimità e utilizzabilità delle intercettazioni, osservando che, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, i "gravi indizi di reato" (e non di colpevolezza), richiesti perchè si possa procedere alle intercettazioni non debbono necessariamente riguardare il soggetto le cui comunicazioni devono essere intercettate e che, pertanto, il P.M. non aveva alcun obbligo di motivare l'adozione di tale mezzo di ricerca della prova, facendo riferimento a presunti indizi di reato a carico dei dipendenti chiamati a rendere le informazioni.
Il quadro di gravità indiziaria era, dunque, individuato sulla base delle dichiarazioni della denunciante G.L.N., di cui si evidenziava la coerenza, la precisione e l'uniformità, nonchè l'esistenza di plurimi riscontri e segnatamente ; il prospetto relativo alle retribuzioni di alcuni dipendenti e alle mansioni svolte, acquisito per il tramite della stessa G.;
le registrazioni effettuate dalla medesima denunciante, aventi valore di prova documentale, siccome costituenti una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, di cui l'autore può legittimamente disporre; le dichiarazioni rese da altri dipendenti in ordine alla corresponsione di una retribuzione inferiore a quella che appariva sulla busta-paga (dichiarazioni C., Ca., c., B. e T.) e all'esistenza di altri dipendenti, oltre la denunciante, che si erano licenziati per non avere voluto sottostare alle imposizioni dello S. (dichiarazioni Ca.); i contenuti delle intercettazioni telefoniche che confermavano la verità di siffatte dichiarazioni e, per converso, evidenziavano la falsità delle dichiarazioni di quei dipendenti che avevano riferito di essere pagati per quanto indicato nella busta- paga.
In particolare il Tribunale richiamava il tenore di alcune conversazioni telefoniche, traendone la conferma dello stato di costrizione dei dipendenti (così, la conversazione n. 107/07 ), dei modi minacciosi usati dallo S. (così, la conversazione n. 71/07), nonchè della consuetudine del medesimo indagato di pagare i dipendenti con gli assegni, salvo poi farsi restituire la differenza al fine di rendere più difficoltosa l'acquisizione di documentazione afferente la condotta illecita (così le conversazioni intercorse tra T.S. e A.R., nonchè la n. 36 del 2007);
evidenziava, inoltre, con specifico riguardo alla posizione della B. non solo l'importanza dei compiti svolti all'interno del supermercato (di responsabile dei rapporti commerciali con diverse ditte fornitrici) e il contributo reso alla gestione famigliare del supermercato, ma anche il tenore delle conversazioni telefoniche, da cui desumeva un ruolo attivo della medesima indagata all'attività estorsiva del marito; rilevava, quindi, che la descritta condotta era idonea a concretare i gravi indizi del reato di estorsione, a nulla rilevando che vi fosse stato accordo sulle differenze retributive, considerata la limitata capacità di autodeterminazione dei dipendenti, anche alla luce delle condizioni ambientali che non consentivano opportunità alternative di lavoro.
Le esigenze cautelari erano individuate in quelle di cui all'art. 274 c.p.p., lett. a) e c) con la precisazione che l'adozione della misura coercitiva in atto risultava l'unico presidio idoneo a recidere i legami degli indagati con l'ambiente in cui era maturata la condotta criminosa, al fine di escludere sia il pericolo di recidiva, sia il pericolo di inquinamento probatorio.
1.2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione B.C., per mezzo del difensore, formulando i seguenti motivi.
Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) ed e) in relazione all'art. 266 c.p.p., erronea applicazione della legge e difetto di motivazione.
Con il primo motivo si deduce l'illegittimità delle intercettazioni telefoniche specificamente indicate in ricorso per difetto di motivazione dei decreti di autorizzazione in ordine all'assoluta indispensabilità per la prosecuzione delle indagini delle captazioni telefoniche e ambientali; si rileva che il Tribunale ha motivato sull'esistenza dei gravi indizi di reato che giustificavano le intercettazioni, ma nulla ha detto sulla loro indispensabilità.
Violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all'art. 273 c.p.p., erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione.
Con il secondo motivo si deduce l'insussistenza degli estremi della gravità indiziaria del reato di estorsione e l'inadeguatezza e incompletezza della motivazione del Tribunale sul punto.
Si lamenta che non sia stata sottoposta ad un adeguato vaglio di credibilità la persona offesa G.L.;
si afferma l'irrilevanza indiziaria del foglio manoscritto e delle trascrizione delle conversazioni con le colleghe registrate dalla denunci ante; si deduce, altresì, la mancanza di motivazione sulle dichiarazioni dei dipendenti che avevano escluso di essere stati minacciati e, in definitiva, l'insufficienza del quadro indiziario, dal quale potrebbe, al più, desumersi l'esistenza delle differenze retributive, ma non la condotta estorsiva.
Con specifico riferimento alla posizione dell'odierna ricorrente si assume, altresì, l'illogicità della motivazione in relazione al ritenuto concorso nella condotta presuntivamente ascritta al marito, pure in assenza di specifiche condotte riferibili all'indagata.
Violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all'art. 274 c.p.p., lett. c), erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione - Con il terzo motivo si deduce l'insussistenza del pericolo di reiterazione, segnatamente rilevando che il tenore delle conversazioni telefoniche della B. con i dipendenti non dimostrerebbe altro che i buoni rapporti dell'indagati con i lavoratori;
si assume l'insussistenza dell'asserita "rete" di minacce e di ritorsioni da parte dei coniugi S. - B. e si rileva l'incensuratezza dell'indagata.
Violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all'art. 274 c.p.p., lett. a), erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione.
Con il quarto motivo si lamenta che il Tribunale non abbia motivato in ordine alla dedotta emergenza di fatti nuovi che portavano ad escludere anche l'esigenza di cui all'art. 274 c.p.p., lett. a).
Violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all'art. 275 c.p.p., erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione.
Con il quinto motivo si lamenta che il Tribunale abbia motivato in maniera insufficiente e laconica in ordine all'adeguatezza della misura cautelare personale e la mancata considerazione del pregiudizio che ne deriverebbe per la gestione dell'azienda.
2.1. Relativamente al primo motivo si osserva che il Tribunale ha pronunciato su entrambi i profili di censura svolti in sede di riesame dalla ricorrente con riguardo all'utilizzabilità e legittimità delle intercettazioni telefoniche e ambientali, svolgendo argomentazioni immuni da censure in questa sede.
La censura svolta in ricorso, invece, ha per oggetto violazione di legge che non risulta dedotta in sede di riesame ed è, dunque, inammissibile, in relazione al disposto dell'art. 606 c.p.p., comma 3, ultima parte.
Va altresì richiamato il principio che in sede di legittimità è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità delle intercettazioni non solo di indicare l'atto che si assume asseritamente viziato, ma anche di curare che esso sia acquisito al fascicolo trasmesso dal giudice di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 32747/2006).
2.2. Il secondo motivo di ricorso propone censure che risultano interamente rivolte a delineare una rilettura in fatto degli elementi probatori e valutativi, già considerati dal Tribunale del riesame, che non è consentita in questa sede. La ricorrente, pur formalmente denunciando la violazione di legge e il vizio logico, formula, in realtà, censure rapportabili alla motivazione del provvedimento impugnato, ripetendo, peraltro, doglianze già proposte in sede di gravame (come quelle attinenti alla rilevanza del "foglio" manoscritto della I.R., in cui si è rinvenuto un preciso riscontro delle dichiarazioni della parte offesa ovvero quelle relative alle registrazioni private effettuate dalla medesima parte offesa) adeguatamente esaminate e respinte dal giudice del riesame con ragionamento immune da vizi logico-giuridici.
Valga considerare che in caso di ricorso avverso un provvedimento di riesame in tema di misure cautelari personali, le doglianze attinenti alla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari possono assumere rilievo solo se rientrano nella previsione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), se cioè integrano il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
Esula, quindi, dalle funzioni della Cassazione la valutazione della sussistenza o meno dei gravi indizi e delle esigenze cautelari, essendo questo compito primario ed esclusivo dei giudici di merito ed, in particolare, prima, del giudice al quale è richiesta l'applicazione della misura e, poi, eventualmente, del giudice del riesame.
Del resto il termine "indizi" adottato dall'art. 273 c.p.p., comma 1 assume una valenza completamente diversa da quella che il medesimo termine assume nell'art. 192 c.p.p., comma 2, essendo l'uso di tale termine correlato, non già alla distinzione tra prove e indizi, ma unicamente alla natura del giudizio (di probabilità e non di certezza) che è richiesto ai fini dell'applicazione di una misura cautelare e rispetto al quale deve parlarsi non di "prove", ma sempre e comunque di "indizi", atteso che in sede di giudizio de libertate gli elementi a carico, stante la natura squisitamente probabilistica del giudizio stesso, non vanno valutati secondo gli stessi parametri richiesti nel giudizio di merito, per come risulta dal fatto che l'art. 273 c.p.p. richiama espressamente dell'art. 192 c.p.p., i commi 3 e 4 ma non il comma 2 del medesimo articolo (Cass. sez. 2^, 28-11-2007, n. 770).
In applicazione di tali consolidati principi, a questa Corte spetta, quindi, solo il compito di verificare, in relazione ai peculiari limiti del sindacato di legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario, controllando la congruenza della motivazione in base ai criteri della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (cfr. Cass., sez. unite, 22 marzo 2000, Audino).
Valutata in questa prospettiva, l'ordinanza impugnata appare del tutto congrua in relazione alle emergenze procedimentali, priva di vizi logici e quantomai approfondita ed esaustiva nell'esame del riscontro della gravità indiziaria.
Invero - come emerge dalla sintesi sopra svolta - il Tribunale ha sottoposto al doveroso vaglio critico le dichiarazioni della denunciante, rilevandone la credibilità anche in ragione dei positivi riscontri rinvenuti nelle dichiarazioni di altri dipendenti e nelle operate intercettazioni; ha altresì svolto una coerente e organica analisi interpretativa dei contenuti delle intercettazioni telefoniche e ambientali, rinvenendone la conferma non solo delle differenze retributive, ma anche dei plurimi comportamenti prevaricatori dello S. (come la minaccia di "chiudere" rivolta a uno dei dipendenti o il tono minaccioso rivolto ad altro dipendente, trattato "con i piedi" e anche la pretesa di cambio degli assegni per farsi restituire la differenza), donde il convincimento del regime di vessazione in cui si trovavano i dipendenti.
Con riferimento alla posizione dell'odierna ricorrente il Tribunale ha, quindi, rimarcato, attraverso specifici e significativi riferimenti ai contenuti delle intercettazioni telefoniche, che la B. non si è limitata a raccogliere informazioni da passare al marito (il coindagato S., amministratore della società), ma è arrivata anche ad intimare ai dipendenti il comportamento da assumere nei confronti dell'autorità di P.G., traendone in termini logici e congruenti il convincimento di un ruolo attivo nella vicenda (e non già di un mero concorso morale), oltre che di un rafforzamento della condotta del marito nell'ulteriore protrazione dell'attività illecita (con riguardo alle retribuzione del settembre 2007).
Alla luce di quanto sopra e della complessiva ricostruzione, fattuale e giurisprudenziale, come esaurientemente operata dal Tribunale, il profilo della qualificazione giuridica dei fatti non è censurabile in questa sede: le argomentazioni del Tribunale, pienamente condivisibili, non sono affette da vizi logici, ma, viceversa, riconducono i fatti, allo stato degli atti, nell'ambito normativo dell'art. 629 c.p..
E' stato, infatti, affermato da questa stessa sezione che nel caso in cui il datore di lavoro realizzi una serie di comportamenti estorsivi nei confronti di proprie lavoratrici dipendenti, costringendole ad accettare trattamenti retributivi deteriori e non corrispondenti alle prestazioni effettuate e, in genere, condizioni di lavoro contrarie alle legge e ai contratti collettivi, approfittando della situazione di mercato in cui la domanda di lavoro era di gran lunga superiore all'offerta e, quindi, ponendo le dipendenti in una situazione di condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie equivale a perdere il posto di lavoro, è configurabile il delitto di estorsione di cui all'art. 629 c.p., senza che un accordo contrattuale tra datore di lavoro e dipendente, nel senso dell'accettazione da parte di quest'ultimo di percepire una paga inferiore ai minimi retributivi o non parametrata alle effettive ore lavorative, escluda, di per sè, la sussistenza dei presupposti dell'estorsione mediante minaccia, in quanto anche uno strumento teoricamente legittimo può essere usato per scopi diversi da quelli per cui è apprestato e può integrare, al di là della mera apparenza, una minaccia ingiusta, perchè è ingiusto il fine a cui tende, e idonea a condizionare la volontà del soggetto passivo, interessato ad assicurarsi comunque una possibilità di lavoro, altrimenti esclusa per le generali condizioni ambientali o per le specifiche caratteristiche di un particolare settore di impiego della manodopera (Cass. pen., Sez. 2^, 21/09/2007, n. 36642).
2.3. L'adeguatezza e puntualità motivazionale rendono insindacabile il presente provvedimento anche per quanto attiene alla individuazione dei presupposti di fatto idonei a concretare le esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p., lett. c) ed a) risultando, per converso, generica e apodittica la doglianza formulata dalla ricorrente in ordine alla sussistenza del pericolo di recidiva e manifestamente infondata la censura di difetto e/o illogicità della motivazione.
In particolare - quanto al pericolo della recidiva - le argomentazioni svolte in ricorso si rivelano nella sostanza rivolte alla rivalutazione, qui non consentita, del materiale indiziario;
mentre il rilievo della situazione di incensuratezza scolora a fronte della situazione di pericolosità descritta dal Tribunale.
Inoltre - contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente - il Tribunale ha esaminato i fatti "nuovi" che in linea difensiva facevano venire meno il pericolo di inquinamento probatorio, segnatamente evidenziando l'esigenza di approfondimento probatorio proprio nell'ambiente lavorativo dove gli indagati hanno accesso per ragioni connesse al ruolo rivestito all'interno dell'azienda; e ciò in considerazione dell'insufficienza ai fini procedimentali degli ulteriori accertamenti effettuati dall'ispettorato del lavoro e dal nucleo Lavoro dei C.C. (siccome finalizzati all'accertamento delle violazioni amministrative e all'applicazione delle corrispondenti sanzioni) e del materiale documentale acquisito e avuto riguardo altresì alla necessità di risentire alcuni testi e di preservare altri da indebite pressioni da parte degli indagati.
La concorrenza della duplice esigenza cautelare da contezza in termini logici e congruenti anche dell'adeguatezza della misura, siccome l'unica idonea a recidere il legame degli indagati con l'ambiente lavorativo.
Va ricordato che l'art. 275 c.p.p., nell'indicare i criteri in forza dei quali il giudice di merito deve scegliere la misura idonea a soddisfare le esigenze cautelari, gli attribuisce, nell'ambito di detti criteri, poteri discrezionali assai estesi nella scelta di quella ritenuta adeguata a soddisfare le esigenze cautelari e proporzionata al fatto concreto, con la conseguenza che la relativa determinazione è incensurabile in sede di legittimità se sorretta, come nel caso di specie, da idonea motivazione, immune da vizi logico- giuridici.
In definitiva i motivi di ricorso incorrono tutti nella sanzione di inammissibilità.
A mente dell'art. 616 c.p.p. alla declaratoria di inammissibilità - determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2008